È difficile dare una risposta precisa a chi accostandosi per la prima volta chiede “ a cosa serve lo yoga?”
Lo yoga non va spiegato, va praticato.
Ma se proprio vogliamo dare una definizione possiamo descriverlo come un percorso che partendo dal corpo, che è la parte di noi più tangibile, porta alla comprensione all’ interno di se stessi di ciò che inconoscibile.
Ponendoci in questa ottica ci rendiamo conto che la pratica fisica è necessaria, ma non può essere fine a se stessa, è uno strumento necessario per accedere a stadi superiori.
Per comprendere in modo preciso come avviene questo percorso è indispensabile conoscere il testo base dello yoga “ Gli yoga sutra di Patanjali”. Un testo scientifico, esatto, senza parole inutili, preciso.
Per un principiante può sembrare di non facile comprensione, secondo me la lettura va associata alla pratica, altrimenti risulta incomprensibile.
L'opera di Patañjali è composta da 196 sutra che descrivono con chiarezza la filosofia Yoga.
Lo yoga di Patañjali è spesso chiamato ashtanga Yoga, ovvero lo «Yoga degli otto stadi»; il percorso yogico si articola in otto stadi fondamentali, attraverso i quali il praticante può gradualmente raggiungere l'unione con il tutto, il Samadhi. I primi cinque sono:
1) yama (armonizzazione delle relazioni interpersonali, ovvero 5 regole che possiamo definire sociali): Ahimsa (non violenza) Satya(veridicità) Asteya(non rubare) Brahmacarya( autocontrollo, moderazione), Aparigraha ( non bramare, assenza di gelosia).
2) niyama (armonizzazione delle sensazioni interiori, ovvero 5 regole personali): Sauca (pulizia) Santosha(essere soddisfatti,contentezza) Tapas(disciplina) Svadhyaya (studio del sè, conoscenza), Isvara-Pranidhana (abbandono all'Universo)
3) asana ( posture);
4) prânâyâma (controllo del respiro);
5) pratyâhâra (raccoglimento ed eliminazione di tutte le distrazioni esterne alla persona);
6) dhâranâ (concentrazione della mente in un unico punto e soppressione della confusione mentale utilizzando un simbolo psichico come centro focale);
7) dhyâna (meditazione; la consapevolezza scorre senza sforzo intorno al simbolo psichico);
8) samâdhi (uno stato in cui vi è completa assenza di qualsiasi modificazione mentale; tutto ciò che rimane è consapevolezza)
Noi qui in breve proviamo ad esaminare gli otto gradi che Patanjali descrive nel suo testo che sicuramente valgono più dei fiumi di parole per spiegare lo yoga:
Yama e Niyama, superficialmente possono solo apparire come un insieme di rigide regole, in realtà sono la chiave per la trasformazione reale nella vita. Sono le solide fondamenta su cui costruire tutto il percorso di conoscenza.
Ora se esaminiamo questi otto stadi notiamo che asana e pranayama sono posti al centro del percorso.
Questo significa che è proprio in questo stadio che avviene il passaggio da uno stato di offuscamento della mente ad una stabilità e maggiore raffinazione.
Solo con la ritrazione dei sensi all’interno e le successive focalizzazioni si rendere la mente imperturbata e si raggiunge uno stato di meditazione stabile che porta al samadhi.
Appare quindi evidente che prima di poter sperimentare questi ultimi stadi il praticante deve imparare a conoscere il proprio corpo, a controllare i soffi vitali, a penetrare nella comprensione della mente. E' proprio con la pratica delle asana che si affina la conoscenza del corpo, e soprattutto lo si libera dagli ostacoli che impediscono lo scorrimento del prana lungo i canali, mentre con il pranayama se ne regola il flusso. Solo quando sarà completa l’esplorazione del conoscibile, quando si sarà reso il corpo ricettivo e stabile si potrà andare oltre.
Il percorso dello yoga è indispensabile per liberarsi dalla identificazione con il corpo e pervenire all’io interiore. E’ una scienza esatta che porta dall’ignoranza alla conoscenza. Solo una pratica fisica con questa consapevolezza può definirsi yoga, altrimenti chiamiamola ginnastica e basta.